Gli assistenti AI come ChatGPT, Gemini, Copilot e Perplexity stanno diventando strumenti di uso quotidiano per la ricerca di informazioni. Tuttavia, lo studio di Ahrefs ha mostrato un dato sorprendente: solo il 12% delle fonti citate da questi sistemi compare effettivamente nella top 10 di Google per la query originale. Ciò significa che l’universo delle citazioni AI e quello del posizionamento organico sono molto meno sovrapposti di quanto si possa immaginare. Questa distanza apre nuove riflessioni su come creare contenuti che non solo si posizionino nei motori di ricerca, ma vengano anche selezionati dagli algoritmi delle intelligenze artificiali.
I risultati dello studio
Il dato più evidente è proprio la scarsa sovrapposizione tra le fonti AI e i risultati di Google. In 15.000 query analizzate, la percentuale media di URL citate dagli AI che si trovano nella top 10 di Google non supera il 12%. Perplexity rappresenta l’eccezione, con un tasso di sovrapposizione che arriva al 28,6%, mentre gli altri strumenti rimangono vicini alla soglia dell’8-10%. Su Bing la situazione non migliora: anche Copilot, che utilizza l’indice Microsoft, raggiunge appena il 10%. Ancora più significativo è che molte delle URL citate non compaiono neppure nelle prime cento posizioni, segnalando che gli AI attingono spesso da fonti invisibili nelle SERP tradizionali.

Le ragioni della distanza
Le cause di questa distanza sono molteplici. In primo luogo, gli AI non si limitano a usare la query originale, ma la trasformano in varianti, sinonimi e long-tail, per poi combinare i risultati ottenuti. Questo processo, noto come “query fan-out”, modifica radicalmente l’insieme di fonti disponibili. Inoltre, sistemi come Perplexity adottano metodi di fusione come il Reciprocal Rank Fusion, che premiano le pagine ricorrenti su più varianti della query. C’è poi un aspetto di personalizzazione: il contesto della conversazione, lo storico dei prompt e persino il comportamento dell’utente possono influenzare le fonti selezionate. Infine, alcuni strumenti AI utilizzano indici indipendenti o crawler proprietari, che inevitabilmente differiscono da quelli di Google e Bing.
Le implicazioni per SEO e content marketing
Il quadro che emerge è chiaro: posizionarsi in alto su Google non garantisce di essere citati dagli AI, così come comparire nelle citazioni AI non assicura un buon traffico organico. Le due dinamiche, sebbene legate, seguono logiche diverse. Per i creatori di contenuti e i marketer questo significa dover pensare a una strategia doppia: continuare a ottimizzare per i motori di ricerca tradizionali, ma anche comprendere come gli AI scelgono le fonti. L’obiettivo non è solo farsi trovare da Google, ma anche diventare un riferimento autorevole per i sistemi conversazionali.
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Strategie per colmare il divario
Una prima direzione è lavorare sulle varianti di query, arricchendo i contenuti con sinonimi, domande frequenti e frasi correlate che aumentino la probabilità di essere intercettati dagli AI. È poi cruciale strutturare i contenuti attraverso topic clusters, cioè pagine pilastro circondate da articoli di approfondimento, per rafforzare la copertura semantica. La qualità rimane un cardine: fonti affidabili, aggiornate e ben referenziate hanno più probabilità di essere scelte. A ciò si aggiungono i classici segnali SEO on-page, come velocità di caricamento, struttura chiara e dati strutturati, che aiutano sia i motori di ricerca sia gli algoritmi AI. Infine, serve attenzione alla rete di link, interni ed esterni, per aumentare l’autorevolezza del dominio e favorire la scoperta dei contenuti da parte dei crawler.
Le best practices
Per dominare sia su Google sia nelle citazioni AI bisogna pubblicare contenuti che rispondano in modo diretto e chiaro alle domande, con paragrafi che iniziano dalle query stesse. L’aggiornamento continuo è essenziale, così come l’inserimento di dati originali, ricerche proprietarie e insight esclusivi che rendano una pagina citabile. La combinazione di autorevolezza, chiarezza e aggiornamento aumenta non solo la possibilità di posizionamento organico, ma anche la probabilità che l’AI la scelga come fonte attendibile.
Conclusione
Lo studio di Ahrefs mostra che il divario tra SEO tradizionale e citazioni AI è ampio: solo una minima parte delle fonti appare in entrambe le sfere. Per i professionisti del digitale questo è un segnale di trasformazione: non basta più dominare le SERP, bisogna anche diventare visibili agli algoritmi delle AI. Chi saprà muoversi su entrambi i fronti avrà un vantaggio competitivo enorme, perché riuscirà non solo a intercettare traffico, ma anche a diventare punto di riferimento nelle conversazioni generate dall’intelligenza artificiale.