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OpenAI entra nella consulenza AI ad alto valore

OpenAI non si limita più a fornire modelli di linguaggio. Sta diventando un attore diretto nei processi decisionali delle organizzazioni. L’azienda di Sam Altman ha avviato un programma di consulenza enterprise destinato a clienti di alto profilo – grandi imprese, istituzioni, enti pubblici – con progetti che partono da una base di circa 10 milioni di dollari.

In questi incarichi, gli ingegneri OpenAI vengono inseriti all’interno dei team dei clienti per costruire soluzioni di intelligenza artificiale personalizzate, adattando modelli come GPT-4o ai dati, ai flussi e agli obiettivi dell’organizzazione. È un approccio radicalmente diverso rispetto al semplice uso di un’API: la tecnologia diventa parte integrante della struttura aziendale, e la consulenza non riguarda più “quale modello scegliere”, ma “come ripensare il modo in cui l’azienda funziona”.

Le prime collaborazioni confermate coinvolgono importanti realtà industriali e istituzioni governative. L’obiettivo dichiarato è di creare casi di riferimento che mostrino come l’intelligenza artificiale possa trasformarsi da strumento tattico a infrastruttura strategica capace di incidere su governance, produttività e innovazione.

L’intelligenza artificiale entra nei processi, non solo nei prodotti

Ciò che rende questa evoluzione significativa non è solo la dimensione economica, ma il modo in cui ridefinisce la relazione tra AI e impresa. Per la prima volta, un laboratorio di modelli globali non vende semplicemente accesso alla tecnologia, ma partecipa direttamente all’implementazione. Gli ingegneri OpenAI diventano “residenti” temporanei in organizzazioni complesse, contribuendo alla riscrittura dei flussi di lavoro, delle decisioni e persino dei criteri di analisi dei dati.

È una transizione che spinge l’intelligenza artificiale oltre il perimetro tecnico per farla diventare parte del tessuto organizzativo. Le aziende che intraprendono questo percorso non adottano un software: riprogettano se stesse attorno al modello. In questo senso, la consulenza AI di OpenAI segna un salto culturale, non solo tecnologico.

Tra accelerazione e concentrazione

Un programma di questo tipo comporta vantaggi evidenti e rischi strutturali. L’effetto più immediato è la velocità: l’integrazione diretta consente di ridurre il tempo che separa il prototipo dal risultato operativo. Le aziende che scelgono OpenAI potranno costruire modelli proprietari con un’efficienza senza precedenti, ottenendo un vantaggio competitivo in termini di analisi, previsione e automazione dei processi decisionali.

Ma la stessa struttura che accelera l’innovazione introduce anche una nuova forma di dipendenza tecnologica. Quando un fornitore diventa parte del cervello operativo di un’organizzazione, il margine di autonomia si riduce. I dati interni, le logiche di business e la gestione della conoscenza vengono intrecciati con un ecosistema esterno controllato da un’unica entità. È il prezzo della potenza: più integrazione significa più efficienza, ma anche più vulnerabilità.

Implicazioni per l’Europa e per l’Italia

Per l’Europa, e in particolare per l’Italia, questo scenario apre domande strategiche. Le grandi aziende potrebbero trarre vantaggio da un rapporto diretto con OpenAI, ma la maggior parte del tessuto produttivo resta costituita da realtà medie e piccole, che non hanno accesso a contratti di questa scala. Ciò rischia di ampliare il divario tra chi può permettersi un’intelligenza artificiale “disegnata su misura” e chi deve accontentarsi di soluzioni standardizzate.

Allo stesso tempo, questa dinamica può generare nuove opportunità per università, centri di ricerca e startup specializzate, chiamate a fungere da ponte tra le grandi piattaforme globali e le esigenze locali. Le competenze legate alla personalizzazione, alla sicurezza dei dati e alla compliance con il regolamento europeo sull’AI diventeranno cruciali per garantire un ecosistema equilibrato.

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Una nuova definizione di consulenza

Il concetto di “consulenza” sta cambiando di significato. Non si tratta più di interpretare numeri o suggerire strategie, ma di progettare intelligenze che lo facciano in modo autonomo. L’esperienza umana e la capacità predittiva dei modelli si intrecciano, dando vita a un tipo di sapere inedito: meno narrativo, più operativo; meno basato sull’intuizione, più fondato sulla simulazione.

Eppure, proprio nel momento in cui l’AI sembra poter sostituire la riflessione, emerge la necessità opposta: quella di scegliere, di stabilire cosa conti davvero. L’intelligenza artificiale può prevedere, ma non può decidere cosa sia importante. La consulenza del futuro sarà quindi un dialogo continuo tra modelli che calcolano e persone che interpretano.

OpenAI, con la sua nuova divisione enterprise, non ha semplicemente ampliato la propria offerta. Ha ridefinito il modo in cui la conoscenza si traduce in valore economico. L’AI non è più un servizio: è una presenza strutturale dentro le aziende. E in questo nuovo equilibrio, la vera competenza non sarà più saper usare un modello, ma saper convivere con lui.